Introduzione
Cominciamo con un “esperimento ideale”, erano la passione di Einstein. Prendiamo un apparecchio fotografico, tradizionale, con una pellicola e facciamo una o più foto ad esempio ad un nostro amico. Dopo avere sviluppato la pellicola avremo un normale negativo, per semplicità in bianco e nero, che presenterà con i toni invertiti il nostro soggetto. Stampiamo il negativo su carta fotografica ed avremo così un primo originale, ottenuto con mezzi esclusivamente fotografici.
Facciamo un secondo passaggio: portiamo il nostro originale in una tipografia e facciamone fare una stampa. Nella tipografia l’immagine viene riprodotta su una speciale lastra che diventerà una “matrice”, cioè una lastra incisa adatta a essere inchiostrata e stampata per semplice contatto su carta comune. Le varie operazioni necessarie vengono automatizzate e quindi con una sola matrice si possono stampare rapidamente e con buona qualità centinaia o migliaia di copie, tutte uguali, dell’immagine riprodotta.
La storia della Tipografia e dei vari sistemi di riproduzione fotomeccanica delle immagini inizia praticamente insieme a quella della Fotografia. Poiché se la Fotografia man mano permetteva immagini di sempre maggior qualità, la riproduzione su matrici stampabili con economico inchiostro e su carta comune permetteva la reale diffusione capillare delle immagini stesse. Chiaramente sarebbe stato impensabile, dato il tempo ed il costo necessari (anche se talvolta fu fatto), illustrare un libro o un giornale con vere fotografie; la cosa divenne invece possibile con l’introduzione ed il perfezionamento dei mezzi fotomeccanici.
È un vero peccato che questa storia parallela alla fotografia venga trascurata, perché se la Fotografia “faceva” le immagini, la Fotomeccanica ne permetteva la diffusione.
Dunque, a questo punto del nostro esperimento ideale abbiamo due immagini uguali: una fotografia tradizionale ed una sua “traduzione” tipografica. Chiediamo ora ad un disegnatore di realizzare un disegno, naturalmente a mano, dell’immagine che sia il più fedele possibile. Naturalmente il disegnatore impiegherà molto tempo per fare un buon lavoro, ma alla fine di questo terzo passaggio avremo tre immagini, identiche salvo nei dettagli specifici. Osservandole insieme noi vedremo delle differenze, dovute alla diversa maniera di realizzazione, tuttavia quella che ci comunicherà una maggiore differenza, che non riusciremmo neanche a definire razionalmente, sarà sicuramente quella realizzata a mano. E alla fine saremo costretti a dire che l’immagine manuale ci comunica qualcosa di diverso.
Ora “questo qualcosa di diverso” consiste esattamente in ciò che ha introdotto, volente o nolente, il disegnatore proprio perché è un essere umano. Non è una macchina, non è un obiettivo.I suoi occhi vedono e le sue mani riproducono quello che la sua mente vede ed elabora, anche se si sforza di essere il più preciso possibile.
Quell’immagine è sempre un’interpretazione. Non è un’immagine “immediata”, ma è un’immagine “mediata” dal disegnatore che vi aggiunge qualcosa di suo. E se il disegnatore ripetesse l’esperimento di nuovo ridisegnando l’immagine, troveremmo ancora un’immagine in qualche modo diversa, poiché è proprio la mediazione a introdurre ogni volta l’ elemento interpretativo.
Un preambolo
Nel momento presente, il mezzo più importante di informazione, di comunicazione e veicolazione della cultura, cioè l’Immagine fotografica (inclusa anche quella in movimento, cioè la Cinematografia) sta cambiando linguaggio con una velocità repentina. Si tratta di una rivoluzione che pone in essere un mutamento profondo nella nostra percezione e interpretazione dei dati reali. Per questo vorrei passare ad una rapida descrizione dell’”oggetto fotografia” prima di parlare della sua nascita e storia.
Cerchiamo di descrivere cos’è una foto da un punto di vista tecnico prima dell’avvento del digitale. Questo è reso necessario dalla velocità con cui è avvenuto il passaggio da analogico a digitale.Se una decina di anni fa si restava senza pellicola, era più o meno sempre possibile acquistarne lo stretto necessario o in un grande magazzino o anche addirittura in un negozio di tabacchi, purché centrale. Oggi le pellicole si possono trovare solo nei negozi di fotografia, e non in tutti, negli altri negozi non è raro che ti guardino come un tipo strano che chiede cose bizzarre.
In questi ultimi anni le generazioni più giovani hanno a malapena sentito parlare di pellicola o di stampa su carta fotografica dal momento che già una ventina di anni fa le apparecchiature in vendita erano digitali, anche se non perfezionate come adesso, e non utilizzavano più pellicola.La parola pellicola o carta non deve trarre in inganno. Non si tratta di “semplici pellicole flessibili”, e non si tratta di fogli di carta su cui come per magia appare l’immagine: esiste una tecnologia, più che centenaria, piuttosto sofisticata.
Senza eccedere in dettagli, voglio mostrare che un documento fotografico, e questo vale anche per quelli digitali, è un oggetto da maneggiare ponendo delle attenzioni particolari e da conservare in un luogo che risponda a determinate caratteristiche.
La fotografia è essenzialmente un sistema per produrre immagini grazie all’azione fotochimica della luce.Le sostanze che presentano la caratteristica di mutare il loro stato chimico-fisico per azione della luce sono numerosissime, tuttavia sono poche quelle in grado di produrre immagini stabili, in maniera relativamente semplice ed economica e di qualità.
La fotografia basa la sua fotochimica sui composti dell’argento.
Oltre il 90 % delle immagini realizzate dalla nascita della fotografia (1839) sono state prodotte con questa fotochimica. Un documento fotografico è in genere stabile in sé, ma può essere sensibile alla presenza di sostanze anche apparentemente innocue. È un po’ come un essere vivente: ha bisogno del “suo” ambiente per stare bene, della sua tana.
La tecnologia chimica dei sali d’argento col tempo è stata modificata, migliorata ma è rimasta sostanzialmente immutata, fino all’all’avvento della foto digitale. Ciò significa dunque che qualunque documento fotografico (negativo, lastra, stampa, ecc.) è stato prodotto mediante l’argento.Distinguiamo solo una differenza: immagini in B/N e immagini a colori.
Nelle prime, l’immagine negativa o positiva, oppure sia un’immagine su vetro o una comune stampa su carta, osserviamo un’immagine materialmente fatta di particelle di argento metallico.Senza entrare in merito su come si sia formata l’immagine, per ora è importante sapere che una foto in B/N: stampa o negativa, su pellicola o su vetro, ecc. è data da particelle microscopiche d’argento. Il medesimo metallo con cui sono fatti i portachiavi, le posate ecc. Esso, se ridotto in particelle finissime appare grigio scuro e non più lucente, in altre parole assorbe la luce invece di rifletterla.
L’argento è un metallo sufficientemente stabile in sé, ma se entra in contatto con sostanze ossidanti, l’immagine viene danneggiata. Normalmente le particelle d’argento sono disperse sulla superficie della stampa o sul negativo da sostanze colloidi come la gelatina o l’albumina, cosicché l’immagine risulta formata da un strato di gelatina o albumina entro cui sono disperse le particelle dell’immagine, e questo strato è steso sul supporto: carta, vetro o pellicola che sia. Come si vede dunque una semplice foto in B/N nasconde già una complessità strutturale: sostanze diverse combinate tra loro, alcune di origine organica altre no, che necessitano la conoscenza di particolari precauzioni per restare in equilibrio e non subire alterazioni.
Per quello che concerne la fotografia a colori, che fu introdotta commercialmente verso la metà del Novecento, la tecnologia sarà la stessa del bianco e nero ma con un’importante variante. Sul supporto vi sono tre strati sensibili ai tre colori (giallo, magenta e blu-verde) e durante lo sviluppo dell’immagine la reazione con l’argento darà origine ai colori. Quindi i colori, nei materiali più diffusi, si formano nello sviluppo, insieme all’argento.Nel trattamento successivo l’argento, che altrimenti coprirebbe i colori viene eliminato del tutto e sul fototipo restano soltanto i colori. Molto importante è sapere che sui materiali a colori, stampe, diapositive o negativi non vi è più traccia d’argento che, necessario per la formazione dei colori, poi viene eliminato.
La conservazione dei materiali a colori, non contenendo argento ma solo coloranti, deve dunque essere diversa da quelli in bianco e nero. In particolare i colori sono, a seconda dei materiali, meno stabili, ed è opportuno conservarli in ambienti a temperatura più bassa di quella sufficiente per il bianco e nero. I colori sono inoltre particolarmente sensibili all’alcalinità dell’ambiente, e dunque le buste di conservazione non devono contenere tracce di sostanze alcaline, cosa invece molto comune nelle buste destinate al bianco e nero.